Sono circa 50 anni che nel Cantone si parla di "Integrazione" e ultimamente di "Inclusione" delle persone differentemente abili.

Tralasciamo le varie disabilità e concentriamoci sulle persone con Sindrome di Down che sono il focus della nostra Associazione.

Non siamo alla ricerca di colpe né di colpevoli, ma attraverso l'analisi della situazione attuale e confrontandola con altre realtà, cercheremo di capire se ci sono delle differenze negative e se queste possono essere recuperate oppure no.

La reale inclusione sociale delle persone affette da Trisomia 21 nel nostro Cantone si può determinare abbastanza rapidamente ponendoci alcune domande:

  1.  Quante persone con Sindrome di Down si sono sposate e hanno creato una famiglia? La famiglia intesa come marito e moglie dato che i maschi con Sindrome di Down sono al 99,99% sterili.
  2. Quante di loro hanno costruito una vita in piena autonomia? Ovvero vivono da soli fanno la spesa, si comperano l'abbigliamento, cucinano, vanno al lavoro e tutto ciò che comporta una vita autonoma.
  3. Quante di loro hanno un lavoro non protetto? Cioè che hanno un lavoro da svolgere con un minimo di responsabilità personale e indipendenza presso un datore di lavoro che non sia una associazione di assistenza, o apparati di amministrazione pubblica, o il bar del fratello, o la panetteria della zia.
  4. Quante di loro hanno conseguito una laurea?
  5. Quante di loro hanno conseguito un diploma di maturità o anche solo professionale?

La risposta a tutte queste domande è zero o con valori molto vicini allo zero, ognuno può pensare quello che ritiene più opportuno e che gli fa più comodo ma la realtà è che abbiamo una serie di zeri tondi tondi.

Quindi il lodevole sforzo per dare la migliore assistenza sociale a queste persone, permette loro di vivere degnamente e serenamente, ma non permette loro di "Includersi" nel tessuto sociale come succede a tutte le persone normali e sono a tutti gli effetti dei disadattati della società reale.

Questa intervista ai responsabili della Fondazione Diamante e della residenza anziani Casa San Rocco, apparsa sulla trasmissione della RSI LA1 "il Quotidiano" edizione del 16.11.2016 intitolata "Progetto per i disabili anziani", mette in risalto come queste persone ormai in età avanzata, non riescono ad inserirsi in una normale struttura per anziani senza l'aiuto di assistenti esperti che ne facilitino l'integrazione.

Qualcuno potrà obiettare che anche altrove è più o meno così.

Ebbene no, siamo andati in giro per l'Europa e per il mondo a vedere cosa succede in altre realtà che hanno anche meno possibilità economiche della nostra e siamo rimasti sorpresi dal fatto che tutte le domande sopra riportate hanno delle risposte con numeri reali e diversi da zero.

Direttori d'orchestra, musicisti, ballerini, meccanici, laureati in economia, un esercito di addetti al servizio ai tavoli di ristoranti alberghi bars, etc.

Come è possibile questo divario?

E' chiaro che durante il percorso qualche cosa non ha funzionato, ed è un percorso che comincia molto lontano, in primis dalla famiglia che deve accettare il bambino con Sindrome di Down.

Immediatamente dopo interviene l'Assistenza delle strutture cantonali predisposte all'aiuto di questi bambini.

Poi il poderoso apparato di scolarizzazione del Cantone che impegnerà questi bambini fino all'età adulta.

E infine l'apparato cantonale o privato che prepara questi giovani ad un mestiere o una specializzazione con il successivo inserimento nel mondo del lavoro.

Rimandiamo agli articoli successivi una analisi più approfondita di questo lungo percorso.